domenica 12 maggio 2013

Gravidanza veg: si può!



Un’alimentazione vegetariana o vegana ben pianificata può essere seguita facilmente durante la gravidanza, senza alcun pericolo per la salute propria e del nascituro. L’American Dietetic Association afferma che una dieta vegetariana è adeguata dal punto di vista nutrizionale e favorisce gravidanze ad esito positivo. Il fabbisogno di energia e nutrienti per gestanti vegetariane sono le medesime delle gestanti onnivore.

Fabbisogno energetico: l’aumento delle richieste caloriche varia a seconda del peso corporeo pre-gravidico e dell’incremento ponderale auspicabile. Essere in gravidanza non significa dover “mangiare per due”: il surplus energetico è pari, per donne normopeso (BMI pre-gravidico compreso tra 18,5-24,9 kg/m2), a 300 kcal, che si soddisfa facilmente con l’assunzione di cibi nutrienti come quelli vegetali integrali e rispettando la giornata alimentare suddivisa in 3 pasti principali e 3 spuntini. È importante tenere monitorato il peso durante la gestazione per poter modificare la dieta a seconda dell’incremento eventualmente maggiore o minore di quello desiderato. Infatti, un incremento ponderale entro i limiti raccomandati è associato ad un esito migliore della gestazione.

Fabbisogno proteico: durante la gravidanza è necessario un supplemento proteico pari a 6 g/die perché si assiste all’espansione del volume plasmatico e all’accrescimento dei tessuti materni e fetali. Per soddisfare questo fabbisogno è sufficiente seguire una dieta varia, comprendente cioè tutti i gruppi vegetali (cereali, legumi, frutta fresca, frutta secca, verdura).

Fabbisogno di ferro: durante la gravidanza l’anemia può essere un problema, indipendentemente dalla dieta seguita, e questo è dovuto al fatto che il ferro continua ad essere trasferito al feto, anche se l’apporto materno risulta inadeguato, causando un esaurimento delle riserve materne. Per tutte le gestanti (onnivore, vegetariane, vegane) raggiungere i 30 mg al giorno di ferro raccomandati può essere difficile. Nonostante i cibi vegetali siano ricchi di ferro, il cui assorbimento aumenta se associati ad alimenti ricchi in vitamina C, può essere necessaria l’assunzione di un integratore. Lo IOM (Institute of Medicine) raccomanda una supplementazione giornaliera di tale minerale per tutte le donne in gravidanza.

Fabbisogno di calcio: tale minerale è fondamentale per la calcificazione del tessuto osseo fetale e per arrivare ad assumere i 1200 mg/die raccomandati, vanno privilegiate le principali fonti di calcio (vedere articolo sul calcio) e i cibi fortificati (sono consigliate 3-4 porzioni al giorno). É altrettanto importante l’esposizione regolare alla luce solare per permettere la sintesi di vitamina D da parte della pelle.

Fabbisogno di folati: l’acido folico è importantissimo per prevenire alcune malformazioni fetali come la spina bifida e il fabbisogno raddoppia in gravidanza (400 mcg al dì). Le diete a base di vegetali sono ricche di folati: l’assunzione regolare di cereali integrali, verdure a foglia verde e legumi previene una carenza di tale vitamina.

In gravidanza è, inoltre, importante garantire le richieste di nutrienti critici per l’alimentazione vegana:
Vitamina B12: le richieste di tale vitamina sono leggermente aumentate (2,2 mcg/die) e sono soddisfatte assumendo alimenti addizionati o attraverso un integratore.

Zinco: il fabbisogno è soddisfatto attraverso il consumo di cereali integrali, frutta secca e legumi.

Acidi grassi omega-3: l’assunzione non aumenta e si soddisfa attraverso il consumo di olio di lino, noci e alghe (in piccole quantità), le quali forniscono DHA, ma anche  iodio e taurina.

Infine si ricorda che: in assenza di controindicazioni mediche, una moderata e regolare attività fisica contribuisce al benessere sia materno che fetale. L’esercizio fisico ha numerosi benefici: riduce la deposizione di grasso sottocutaneo e l’accumulo di fluidi, sembra prevenire gli aborti e riduce il rischio di rottura pretermine delle membrane, aiuta il controllo del peso e riduce il rischio di diabete gestazionale.

Fonti:
Position of the American Dietetic Association: Vegetarian Diets (2009)
Vegan Nutrition in Pregnancy and Childhood. Reed Mangels, Ph.D., R.D. Katie Kavanagh-Prochaska, Dietetic Intern
The Vegan Diet During Pregnancy and Lactation. Reed Mangels, Ph.D., R.D.
Gravidanza Vegana. L. Baroni
Nutrizione, Individuo, Popolazione. P. Binetti, M. Marcelli, R. Baisi

sabato 27 aprile 2013

Celiachia: e se fosse colpa degli Ogm?


Da qualche tempo, però, si fa strada un'ipotesi che, se confermata, avrebbe conseguenze molto importanti. E cioé che la celiachia possa essere dovuta al frumento modificato geneticamente

Fonte: http://scienza.panorama.it/salute/alimentazione/Celiachia-e-se-fosse-colpa-degli-Ogm

Leggi anche: La mia vita senza glutine
http://scienza.panorama.it/salute/alimentazione/Celiachia-la-mia-vita-senza-glutine

di Eleonora Lorusso

Aumentano in modo esponenziale le diagnosi di celiachia tra gli italiani, ma se si chiede quale sia la causa dell'intolleranza al glutine, i medici non sanno fornire risposte esatte. Solo pochi anni fa, nel foglio di dismissione dall'ospedale San Gerardo di Monza, i dermatologi che hanno in cura le forme di celiachia che riguardano la pelle rispondevano che è una malattia genetica, si può ereditare dai genitori, e se non ci sono parenti celiaci...c'è sempre un primo caso in famiglia! Da qualche tempo, però, si fa strada un'ipotesi che, se confermata, avrebbe conseguenze molto importanti. E cioé che la celiachia possa essere dovuta al frumento modificato geneticamente.

Tutto è nato dall'intuizione di Luciano Pecchiai, storico fondatore dell'Eubiotica in Italia e primario ematologo emerito all'ospedale Buzzi di Milano, che ha ipotizzato un nesso causa-effetto preciso tra modificazioni genetiche del frumento e celiachia. Proprio il frumento, infatti, con gli anni è "cambiato": da pianta ad alto fusto, è ora diventato "nano". Il processo di miniaturizzazione è stato reso possibile con una modificazione genetica, per evitare che la pianta si allettasse, cioé si piegasse verso terra col vento. 

Proprio partendo da questo dato di fatto Pecchiai ipotizza che la modificazione del frumento sia stata resa possibile attraverso l'alterazione di una sua proteina, la gliadina, alla base del malassorbimento del glutine nei celiaci. In gergo scientifico si dice che dalla gliadina si ottiene, per digestione peptica-triptica, una sostanza chiamata frazione III di Frazer, a cui è' dovuta l'infiammazione tipica dell'intestino di coloro che soffrono per intolleranza al glutine.

"È evidente"  sostiene Pecchiai "la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacida della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine".

Un allarme importante, quello lanciato dal professor Pecchiai, che però evidentemente si scontra con interessi economici forti. Riconvertire la produzione di frumento, una volta avviata con successo, sarebbe impresa ardua. Ma restano i numeri altrettanto importanti dei celiaci in Italia: l'Associazione Italiana Celiachia stima che oggi gli intolleranti al glutine siano 400 mila, ma solo a 55 mila è stata diagnosticata la malattia rara. 

Malattia che però, stando ai ritmi di crescita, potrebbe presto perdere anche l'etichetta di "rara". Secondo il presidente dellAIC, Adriano Pucci, infatti, mentre fino a pochi anni fa l'incidenza della malattia era di un caso ogni 1.000/2.000 persone, oggi si viaggia a ritmi di 1 ogni 100/150 persone. Il problema è serio, anche per le complicazioni che la celiachia, se non curata, può dare agli intolleranti al glutine. 

Per i celiaci ad oggi l'unico trattamento possibile è una dieta che escluda il glutine. In questo ci sono stati notevoli miglioramenti nel corso degli anni, con la produzione di un maggior numero di alimenti privi di glutine, anche se molto costosi. Basti pensare che mezzo chilo di pasta costa mediamente più di 2 euro. Alcuni medici, poi, consigliano di evitare sostanze iodate e seguire una dieta priva di glutine. Ma se già è difficile evitare il glutine, aggiungere alla lista anche le sostanze iodate rende tutto più complicato. Non solo. Ora, con l'ipotesi che alla base della cliachia possa esserci una varietà di frumento geneticamente modificato, apre un nuovo scenario nel mondo dell'alimentazione. 

Da un lato l'Unione Europea va nella direzione di liberalizzare gli Ogm (il mais, tra gli alimenti che già sono stati trattati geneticamente, è alla base di moltissimi prodotti per celiaci). Dall'altro esistono già in circolazione altre varietà modificate di frumento, come il cosiddetto grano Creso, iscritto nel Registro Varietale nel 1974, in gran silenzio. Nel 1983 in Italia il 20% del grano era ormai coltivato col Creso e solo un anno dopo si seppe che quella varietà era stata ottenuta con una modificazione, sviluppata presso il centro di studi nucleari della Casaccia. Come si seppe altri 6 anni dopo, quel grano era il risultato di un incrocio di laboratorio tra il messicano Cymmit e una linea mutante ottenuta trattando varietà con raggi X. Per altre varietà ancora sembra che fosse stato utilizzato un trattamento termico. Insomma, genetica allo stato puro applicata ai cibi. Sugli effetti di queste modificazioni, però, nessuno ha prodotto studi, anche perché le ricerche vanno sostenute economicamente e naturalmente l'interesse ad approfondire manca.

Che le intolleranze ne possano essere un effetto?

lunedì 8 aprile 2013

Salute: la carne rossa fa male al cuore per colpa della “carnitina”, molto usata nel mondo dello sport


Domenica 7 aprile 2013, 20:08 di Peppe Caridi
Fonte: http://snipurl.com/26sgyy2

Ecco forse il vero colpevole degli effetti deleteri della carne rossa: la ‘L-carnitina’, amminoacido presente in questa tipologia di carne, reso famoso dai mondiali dell’82 quando si disse che era stato il segreto della vittoria azzurra. In una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Medicine la L-carnitina, oggi molto utilizzata dagli sportivi – forse incautamente alla luce di questo studio – e’ risultata legata a rischio cardiovascolare. Lo studio e’ stato condotto su un campione di individui e su topolini da Stanley Hazen della Cleveland Clinic Foundation. Il consumo di carne rossa e’ associato ad aumento della mortalita’ per molte cause tra cui cancro e malattie cardiovascolari. Gli ”ingredienti” della carne rossa finora additati come responsabili degli effetti deleteri di questo cibo sono grassi saturi e colesterolo; ma forse bisogna guardare altrove per rintracciare i veri ”veleni” della carne rossa. Infatti gli esperti hanno visto che la L-carnitina viene trasformata in una molecola tossica, l”ossido di trimetilammina (TMAO), da alcuni batteri presenti nella flora intestinale delle persone che consumano carne (ma non in quella di vegetariani e vegani). Ed hanno visto che le persone che hanno nel sangue alti livelli sia di carnitina sia di TMAO hanno un rischio cardiovascolare piu’ elevato. La carnitina farebbe male proprio perche’ trasformata in TMAO. Gli scienziati hanno eseguito degli esperimenti sui topolini e visto che anche negli animali la carnitina viene metabolizzata da alcuni batteri intestinali e trasformata in TMAO; inoltre che e’ associata a malattia cardiovascolare. Secondo gli esperti alla luce di questo studio e’ quanto meno da ripensare il legame tra consumo di carne rossa e malattie cardiovascolari: potrebbe essere la carnitina a spiegarlo, piuttosto che colesterolo e grassi saturi.

USA, addio alla carne: i vegani raddoppiati negli ultimi tre anni


Giovedì, 04 Aprile 2013

Google Trends: crescita notevole dell'interesse

Fonte: http://www.nelcuore.org/blog-associazioni/item/usa-4.html

Con personaggi influenti come l'ex presidente Usa Bill Clinton che ha annunciato il proprio entusiasmo per una dieta vegana e celebrità come Justin Timberlake che canta "Bring it on down per Veganville", sembrerebbe che il veganismo stia diventando sempre più diffuso. Secondo Google Trends, l'interesse del pubblico per la dieta vegana è più alto che mai. E' in aumento il numero di persone alla ricerca del termine "vegano" sul motore di ricerca più importante del mondo. Il picco, quota 100, indica l'interesse più alto mai raggiunto, che per questo termine è stato toccato lo scorso marzo. E non solo: uno studio, commissionato nel 2012 dal Vegetarian Resource Group e realizzato da Harris Interactive, ha rilevato che il 2,5 percento degli americani si è definito "vegan", rispetto all'1 percento nel 2009. Guardando questi ultimi numeri, sembra di non essere di fronte ad una crescita accentuata, ma per comprendere il fenomeno basta considerare il fatto che il numero dei vegani è più che raddoppiato in soli tre anni.

L'anno scorso, Mark Bittman ha scritto su The New York Times che la domanda americana di carne è stata in costante diminuzione, con le proiezioni del Dipartimento dell'Agricoltura che mostrano un ulteriore calo. Più di recente, dopo che lo scandalo della carne di cavallo, soprattutto in Europa, ha suscitato indignazione pubblica, le vendite di prodotti senza carne sono salite.

Il crescente interesse potrebbe dipendere dall'esplosione delle celebrità vegan negli ultimi anni. Tuttavia, siamo davanti ad una tendenza più significativo. Alcuni studi hanno recentemente collegato il veganismo ad una varietà di effetti benefici sulla salute a tutto tondo: da una migliore salute del cuore ad un controllo più efficace degli zuccherri, fino all'abbassamento dei tassi di obesità. Ridurre il consumo di carne, tra l'altro, è anche vantaggioso per l'ambiente.

giovedì 28 marzo 2013

Italia vegetariana: siamo il secondo Paese dopo l’India


Veronica Ulivieri

Fonte: La Stampa

Il paese della bistecca e della mortadella, di capitoni in umido e bollito, tortellini e pasta con le sarde, sta cambiando la propria alimentazione. Da nicchia, i vegetariani stanno man mano diventando una fetta importante della popolazione italiana: secondo l’AVI (Associazione Vegetariana Italiana), coloro che hanno escluso carne e pesce dalla dieta sono circa il 10% dei cittadini, e l’Italia è “il secondo stato vegetariano dopo l’India”. Ma anche stando alle cifre molto meno ottimistiche dell’Eurispes (Rapporto Italia 2012), sono comunque più del 3%, pari ai cittadini di Milano e Firenze messi insieme. A questo nuovo tipo di alimentazione è dedicato, da alcuni anni, l’intero mese di ottobre: 31 giorni di incontri e iniziative in tutto il mondo, Italia compresa, per incoraggiare un’alimentazione all’insegna di cereali, verdura e legumi.  

Ma torniamo alle percentuali. A cosa si deve tanto successo? “E’ tutta colpa nostra!”, risponde ridendo Carmen Nicchi Somaschi, presidente dell’AVI, che quest’anno ha compiuto sessant’anni. “Abbiamo lavorato molto per informare le persone sulla scelta vegetariana, e grazie a Internet, negli ultimi anni siamo riusciti a far arrivare le informazioni a un gran numero di persone”. Negli ultimi decenni, però, è tutto il Paese che si è trasformato: sono aumentate le associazioni animaliste, e l’universo dell’ecologismo e del pacifismo si è orientato verso l’alimentazione vegetariana e, in certi casi, vegana (quella cioè che esclude ogni cibo di origine animale). “Da parte degli italiani c’è stata una forte presa di coscienza”, su cui, ultimamente, ha pesato anche la crisi: “Quando le cose non vanno bene si inizia a farsi delle domande, le difficoltà, anche economiche, sono un momento di crescita”. Secondo l’Eurispes, le motivazioni della scelta vegetariana o vegana riguardano l’attenzione per la salute (43,2% dei casi), il rispetto per gli animali, contro il loro sfruttamento da parte dell’uomo (29,5%), e la tutela dell’ambiente (4,5%).  

I servizi per chi ha escluso carne e pesce dalla dieta negli anni sono aumentati, anche se molto c’è ancora da fare. “Trent’anni fa era difficile andare controcorrente. Si faticava a trovare prodotti ad hoc, come il formaggio con caglio vegetale, o mense e ristoranti con piatti vegetariani”. Le cose sono poi andate migliorando, soprattutto per quanto riguarda aziende e ristoranti: “Il settore privato si sta evolvendo molto. Lavoro con molte aziende di ristorazione, cercando di trovare soluzioni perché il loro menù accontenti vegetariani e non”. E i primi risultati si vedono: “All’hotel Hilton di Milano sono stati organizzati corsi di alimentazione vegetariana per chef e personale, in modo che un cliente vegetariano possa avere a disposizione dei piatti diversi, e non sempre pasta o formaggio”. Inoltre, il lavoro dell’AVI è spesso quello del dialogo con le aziende: “Cerchiamo di studiare con loro prodotti adatti anche a chi non mangia carne e pesce. Con Autogrill, per esempio, abbiamo studiato un panino per vegetariani e vegani, con Ikea un intero menù. Mentre confrontandoci con Barilla, abbiamo ottenuto che lo strutto fosse eliminato dai loro tipi di pane”.  

Le cose sono più complicate nella ristorazione pubblica: “Le mense di scuole, ospedali, uffici e imprese raramente sono disponibili a offrire pasti per i vegetariani, anche se nella nostra tradizione mediterranea ci sarebbero molte pietanze adatte ai vegetariani. All’estero, al contrario, dove c’è una tradizione culinaria diversa, si sono messi a punto dei menù ad hoc”. In molti casi, basterebbero pochi semplici accorgimenti: “Pensiamo al risotto, per esempio: se si prepara con il brodo vegetale piuttosto che con quello di carne, diventa un piatto per tutti”. E aiuterebbe anche inserire l’obbligo di pasti vegetariani nei capitolati, “così come accade per i piatti senza carne di maiale preparati per i cittadini musulmani. Perché, se garantiamo pasti diversi per motivi religiosi, non lo facciamo per motivi etici?”.  

L’AVI aveva anche in cantiere una petizione per sancire, tramite una legge dello Stato, il diritto ai pasti vegetariani: “Ma dopo la raccolta firme, la cosa si è arenata tantissime volte. L’ultima, definitiva, nel 2007-8. Forse l’argomento tocca grandi interessi, che erano contrari a una norma simile”. 

Al di là della dieta, AVI sta anche lavorando per creare una mostra museo sul vegetarianesimo e salvaguardare le antiche varietà di piante e semi: “Stiamo mettendo a punto un progetto chiamato Veg Valley, che si propone di sostenere quelle piccole aziende agricole decise a riscoprire le sementi dimenticate”, coltivando la terra con metodo biodinamico e zero concimi animali. 

martedì 12 marzo 2013

Le proteine nella Dieta Vegana


di Reed Mangels, Ph.D., R.D.

Estratto da Simply Vegan: Quick Vegetarian Meals di Debra Wasserman. Nutrition section by Reed Mangels Ph.D., R.D. (ISBN 0-931411-20-3) pubblicato da: The Vegetarian Resource Group - P.O. Box 1463 - Baltimore, MD 21203 - (410) 366-VEGE. Per ulteriori informazioni si veda il testo originale.  

Fonte: http://www.scienzavegetariana.it/nutrizione/vrg/proteine.html

Sommario: se l'assunzione di calorie è adeguata, per una dieta vegana è facilissimo soddisfare il fabbisogno proteico. Non è necessario seguire un rigido piano di combinazione delle fonti proteiche, è più importante nutrirsi seguendo un'alimentazione variata durante la giornata.

Alcuni americani sono ossessionati dalle proteine ed i vegani sono bombardati da domande su come essi riescano a soddisfare il loro fabbisogno proteico. Era abitudine degli atleti mangiare grosse bistecche prima delle competizioni, perché pensavano che ciò avrebbe migliorato i loro risultati. I negozi di alimentazione biologica e salutare vendono integratori proteici. Una simile preoccupazione in merito alle proteine è immotivata: sebbene le proteine siano senza dubbio nutrienti essenziali che rivestono diversi ruoli fondamentali nel funzionamento del nostro organismo, non ne sono necessarie enormi quantità. In realtà abbiamo bisogno di una quantità limitata di proteine. Solo una caloria ogni dieci che assumiamo deve provenire dalle proteine. Le prestazioni atletiche vengono invece migliorate grazie ad una dieta ricca di carboidrati, non da un'alimentazione iperproteica. Gli integratori proteici sono costosi, superflui ed anche nocivi per alcune persone.

Di quante proteine abbiamo bisogno? La RDA consiglia di assumere 8/10 di grammo (0.8 grammi) di proteine per ogni chilogrammo di peso (o circa 0.36 grammi di proteine per libbra di peso [NdT: 1 libbra = 450g]). Questa raccomandazione ha un generoso margine di sicurezza per la maggioranza delle persone. Se apportiamo degli aggiustamenti che tengano conto del fatto che alcune proteine vegetali vengono digerite in modo differente dalle proteine animali e dell'insieme di aminoacidi presente in alcune proteine vegetali, raggiungiamo il livello di 1 grammo di proteine per chilogrammo di peso corporeo (0.45 grammi di proteine per libbra del vostro peso). Poiché i vegani consumano varie fonti di proteine vegetali, una quantità compresa tra 0.8 ed 1 grammo di proteine per chilogrammo risulta essere la dose di proteine consigliata per i vegani. Se effettuiamo alcuni calcoli, vediamo che la quantità di proteine raccomandata per i vegani incide per circa il 10% delle calorie totali della dieta (come esempio, consideriamo un maschio vegano di età compresa tra i 25 e i 50 anni, del peso di 79 kg: la sua RDA quotidiana di calorie è di 2900. Il suo fabbisogno proteico può raggiungere 79 kg x 1 grammo/kg di proteine = 79 grammi di proteine al dì. 79 grammi di proteine x 4 calorie/grammo di proteine = 316 calorie provenienti da proteine al dì. 316 calorie di origine proteica divise per 2900 calorie = 10.1% delle calorie totali fornite da proteine). Se osserviamo l'alimentazione vegana, riscontriamo che una quantità compresa tra il 10 ed il 12% delle calorie totali giornaliere proviene dalle proteine. Ciò contrasta con l'assunzione giornaliera di proteine dei non-vegetariani, che si avvicina al 15-17% delle calorie totali.

Così, negli USA è evidente come le diete vegane siano comunemente più povere di proteine rispetto alle diete standard americane. Ricordate comunque che, in termini di proteine, assumere una quantità maggiore (della RDA consigliata) non è necessariamente da preferire. Non sembrano esserci vantaggi per la salute nel consumare una dieta ad elevato contenuto proteico. Le diete ricche di proteine possono invece aumentare il rischio di osteoporosi e di patologie renali.

Continua >>>  http://www.scienzavegetariana.it/nutrizione/vrg/proteine.html

lunedì 28 gennaio 2013

In Italia 5 milioni di vegetariani per principi salutistici e non per scelta etica.

In Italia sono 5 milioni i vegetariani di cui 400mila i vegani, ossia persone che non si nutrono con carne e derivati animali quali latte, uova, burro o miele. Ma le motivazioni che hanno innescato la scelta sono diverse: il 43,2% ammette di rinunciare alla carne per proteggere la propria salute mentre il 29,5% ha scelto di nutrirsi di soli vegetali per rispetto degli animali, mentre appena il 4,5% motiva con la tutela e il rispetto dell’ambiente. Comunque sia agli italiani piace mangiare vegetariano e rinunciano alla carne volentieri anche se non interessa la motivazione ambientalista o animalista. I numeri però sono destinati a aumentare e il rapporto Eurispes 2011 traccia così il profilo del vegetariano e del vegano: donne e giovanissimi tra i 18 e i 24 anni e gli over 65.

L’incremento dell’interesse e della consapevolezza sull’importanza di una corretta informazione si sta traducendo in un aumento del numero dei vegetariani nel nostro Paese. E un segnale di questo è anche l’adeguamento del mercato con l’introduzione di un numero sempre maggiore di prodotti destinati all’alimentazione green, l’apertura di nuovi negozi bio e l’inserimento da parte dei ristoranti di piatti vegetariani nei loro menù.
Il messaggio salutista dunque sembra essere giunto a destinazione meno quello dell’emergenza planetaria rispetto allo sfruttamento delle risorse. Per ottenere una bistecca si consumano circa 40mila litri di acqua per tutto il ciclo produttivo. E in effetti oggi si ragiona in termini di consumo responsabile della carne perché effettivamente essendo disponibile e a basso costo in grandi quantità sembra possa essere inesauribile. Ma sappiamo che non è più così.
 

Vegetariani a minor rischio di sindrome metabolica (- 66% diabete, malattie cardiovascolari)

Un nuovo articolo pubblicato di recente sulla rivista scientifica "Diabetes Care" (marzo 2011) mostra come una dieta vegetariana sia associata a un minor rischio di sindrome metabolica (Si parla di una riduzione del rischio di ben 2/3,quindi il 66%!!)
  
  
Fonti: Vegetarian Dietary Patterns Are Associated With a Lower Risk of
Metabolic Syndrome: The Adventist Health Study 2; Rizzo NS, Sabaté J,
Jaceldo-Siegl K, Fraser GE; Diabetes Care (Mar 2011). 
 

La sindrome metabolica è un insieme di fattori di rischio fortemente associato con un incremento del rischio di diabete mellito tipo 2 e di malattie cardiovascolari. Infatti nel sito dell’ Istituto per lo studio e la cura del diabete - Centro di diabetologia accreditato SSN- Regione Campania si può leggere che “la Sindrome Metabolica con normale tolleranza identifica il soggetto come appartenente a un gruppo ad elevatissimo rischio di sviluppare diabete in futuro. Pertanto, la gestione intensiva e precoce della sindrome può avere un impatto significativo nella prevenzione tanto del diabete quanto della malattia cardiovascolare. L'articolo, dei ricercatori Rizzo, Sabaté, Jaceldo-Siegl e Fraser è intitolato "I pattern dietetici vegetariani sono associati con un minor rischio di sindrome metabolica" ed è basato sui risultati dello studio di popolazione "The Adventist Health Study 2".
 
L'obiettivo della ricerca è stato quello di confrontare diversi pattern (modelli) dietetici in relazione ai fattori di rischio metabolico (MRFs) e alla sindrome metabolica (MetS). Sono stati presi in considerazione 773 soggetti con età media di 60 anni dallo studio sugli Avventisti del settimo giorno (una comunità su cui sono stati eseguiti vari studi epidemiologici in quanto gli individui che ne fanno parte tendono ad essere molto più omogenei in numerose caratteristiche dello stile di vita rispetto alla popolazione generale, permettendo cosi una miglior valutazione degli effetti delle differenti abitudini alimentari).
 
I partecipanti hanno compilato un questionario relativo alle proprie abitudini alimentari, il quale ha consentito di dividere i soggetti in: vegetariani (35%), semi-vegetariani (16%) e non-vegetariani (49%). E' stato usato il modello statistico ANCOVA (ANalisi della COVArianza) per determinare le associazioni tra i modelli dietetici e i fattori di rischio metabolico (colesterolo HDL, trigliceridi, glucosio, pressione sanguigna e giro vita), tenendo conto dei co-fattori rilevanti. I risultati hanno mostrato che il modello dietetico vegetariano era associato con valori medi significativamente più favorevoli di pressione arteriosa, circonferenza vita, indice di massa corporea, glicemia e trigliceridi ematici, rispetto a quello non-vegetariano. I ricercatori hanno quindi concluso, nel loro articolo su Diabetes Care, che un modello alimentare vegetariano è associato con un profilo più favorevole per quanto riguarda i fattori di rischio metabolico e con un minor rischio di sindrome metabolica, che è risultato essere ridotto di circa 2/3 (vale a dire del 66%) nei vegetariani rispetto ai non vegetariani; questo dato permane anche dopo aver preso in considerazione gli altri aspetti dello stile di vita e i fattori demografici che possono influenzarlo.

Il cibo spazzatura diminuisce il quoziente intellettivo dei bambini

Mamme, attente. Il "cibo spazzatura" sull’intelligenza dei bambini, ovviamente in modo negativo. Fast food e alimenti poco salutari potrebbero compromettere irreparabilmente l’acume dei pargoli e modificare il loro quoziente intellettivo.

 
 
Lo ha scoperto uno studio condotto dalla Goldsmiths University of London. La ricerca guidata dalla dott. Sophie von Stumm del Dipartimento di Psicologia, ha indagato sulla potenziale connessone tra la nutrizione infantile e l’intelligenza in relazione anche allo status socio-economico (SES). E la conclusione cui sono giunti gli esperti è di quelle da non dimenticare.

Lo studio ha esaminato il tipo di impatto del pasto principale quotidiano di 4mila bambini scozzesi sulle loro capacità cognitive. Per questo sono stati messi a confronto i cibi acquistati ai fast food con quelli cucinati a casa. I bambini avevano un’età compresa tra i tre e i cinque anni. I risultati hanno evidenziato che il cibo ha un impatto rilevante sul loro QI, anche se in parte mediato dagli effetti della SES sul loro sviluppo intellettuale.

Secondo la ricerca infatti, i genitori con un alto status socio-economico (SES) hanno riferito di dare ai loro bambini pasti preparati con ingredienti freschi più spesso, e ciò ha influito positivamente sul loro quoziente intellettivo. Al contrario, un SES più basso era legato ad una maggiore frequenza di pasti consumati al fast food per i bambini, e di conseguenza ad un QI inferiore. In altre parole, una delle ragioni per cui un maggiore SES è correlato positivamente al QI sta nel fatto che esso aumentava la probabilità di fornire una dieta sana ai bambini.
 
Secondo il coordinatore dello studio Sophie von Stumm, la ricerca ha solo osservato gli effetti di gruppi specifici di prodotti alimentari sul QI dei bambini piuttosto che sui tipi generici di pasti consumati. In ogni caso ha fornito le “prove concrete” a sostegno della riduzione della quantità di pasti consumati al fast food tra i bambini: “I risultati evidenziano che le differenze di pasti per bambini sono un problema sociale, madri e padri provenienti da ambienti svantaggiati spesso hanno meno tempo per preparare un pasto cucinato da zero per i loro bambini. Questi ultimi hanno ottenuto punteggi più bassi nei test di intelligenza e spesso hanno difficoltà a scuola”.
Cibi sani, in alternativa al Mc Donald’s, per avere bimbi sani ed intelligenti, nonostante ciò che si legge su alcuni libri di scuola…
 
 

lunedì 14 gennaio 2013

L'Isola di Veg (18 e 19 Maggio 2013)

Approfondimenti e Degustazioni vegetariane e vegane,
per un’alimentazione nuova e salutare

Chiostro degli Agostiniani e Archivio Storico
Comune di Bracciano